Il Made in Italy è da sempre amato all’estero e molto spesso è fonte di ispirazione in molti settori dell’economia internazionale. Tutto questo grande focus di interesse però causa anche però molta contraffazione e falsificazione dei prodotti alimentari del nostro Paese, costando ogni anno circa 300mila posti di occupazione.
I dati emergono dalla ricerca effettuata da Coldiretti resa nota durante il Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione organizzato da Coldiretti a Villa d’Este di Cernobbio (Co), dove i partecipanti hanno potuto assistere ad una presentazione di oltre cento prodotti falsificati venduti in tutto il mondo.
«Con il fatturato del falso Made in Italy che solo nell’agroalimentare ha superato i 60 miliardi di euro, la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le Istituzioni un’area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese e generare occupazione», ha dichiarato il presidente della Coldiretti Sergio Marini spiegando come le esportazioni agroalimentari potrebbero triplicare nel breve periodo.
Oltre alle perdite in termini economici e occupazionali, a risentirne è anche il volto stesso dei prodotti italiani, in particolar modo nei mercati emergenti dove il falso trova strada spianata, soprattutto quelli esteri dove la popolazione non sa riconoscere le differenze di marchio.
Tra le denominazioni più contraffatte ci sono il Parmigiano Reggiano e Grana Padano che vengono copiate sotto falso nome del Parmesan negli USA, Canada, Australia e Giappone. Seguono anche il Romano, l’Asiago e il Gorgonzola che vengono prodotti negli Stati Uniti in cui vengono realizzate anche delle imitazioni “imbarazzanti” del Chianti.
L’ “Italian sounding” interessa quindi le specialità più rappresentative della cucina italiana, dai formaggi, passando per i salumi, fino ad arrivare anche alla pizza.