Vi sono molti incantevoli luoghi in Toscana e il Castello di Meleto, che domina la proprietà di mille ettari, tra boschi, vigneti, ulivi e un ampio campo dedicato alle api, è tra quelli più degni di nota. Già appartenuto per secoli a un ramo dei Ricasoli, da qualche decennio è condiviso da mille soci, ognuno dei quali ne ha acquistato una quota tramite una sorta di crowdfunding. Un’operazione emerita quindi, che ha consentito di salvare un vero e proprio patrimonio artistico, architettonico, paesaggistico e agricolo. Inclusa, ovvio, l’attività vitivinicola, incentrata soprattutto sul Sangiovese, ma non solo.
Il complesso architettonico e monumentale ha origini lontane, probabilmente fin dall’Alto Medioevo e ha attraversato i secoli, come a dire: “io ho ne ho viste di cose, che voi fate fatica oggi a immaginare”. Eppure oggi il Castello di Meleto è la realizzazione concreta e dinamica della valorizzazione e dello sfruttamento di un territorio straordinario. E tutto questo sotto la spinta della produzione vitivinicola. Centoquaranta, centocinquanta ettari di vigneti a conduzione biologica (come l’intera proprietà) dedicati in gran parte al Sangiovese, nel cuore del Chianti Classico.
Pertanto qui agriturismo assume l’accezione di un’ospitalità a tutto tondo, un’esperienza che parte da un calice di vino, attraversa secoli di storia, si affaccia su un paesaggio mozzafiato e consente di vivere questo paesaggio appieno, gustando i prodotti del territorio e avventurandosi, magari in bicicletta, tra le colline. Per poi coricarsi come i nobili proprietari in una stanza del Castello. Un Castello, che ci dicono, potrebbe presto ospitare persino un asilo, non solo per i figli dei dipendenti, ma anche per i bambini di Gaiole in Chianti e del circondario. Insomma, tutto quanto qui è concepito secondo una visione “illuministica”.
I vini
Da qualche tempo alla guida della produzione vinicola c’è un giovane e dinamico enologo, Alberto Stella. Di poche parole, ma che ne sa una più del diavolo, su come condurre in questo territorio il Sangiovese per estrarne il meglio, nella produzione del Chianti Classico, delle Riserve e delle Gran Selezione. Tre referenze su cui “giocare” abilmente sia in vigna sia in cantina, con un occhio particolare alla gestione delle maturazioni dell’uva. E in questo forse sta il tratto più distintivo di Alberto, come “L’uomo che sussurrava agli acini”. Tanto che in vigna è stato bandito qualsiasi impiego di macchine, ogni operazione è quindi compiuta manualmente tra i vigneti che si estendono tra i 200 e i 550 metri sul livello del mare.
Mentre in cantina si lavora ogni referenza tra vasche di cemento e una batteria di legni grandi e piccoli per macerazioni, fermentazioni e affinamenti, così da ottenere per ogni referenza il carattere distintivo del territorio, che comincia proprio dai suoli di due tipologie predominanti, il galestro e l’alberese. E questa non è solo una noiosa considerazione tecnica, ma qualcosa che ritrovate proprio nel calice. Confrontando, per esempio due etichette, davvero notevoli della cantina: le Gran Selezione Casi e Poggiarso provenienti da vigneti su suoli di composizione diversa, altitudini diverse, esposizioni diverse. Un esempio insomma da manuale su come il medesimo vitigno, qui il Sangiovese si esprima diversamente, ma in modo comunque notevolissimo.
La ricerca dell’eleganza
Oggi non c’è produttore che non dica: “Noi ricerchiamo l’eleganza”. È uno slogan che va molto di moda. Ma come osserviamo per strada ognuno ha la propria idea di eleganza, ci sono persone davvero eleganti e persone convinte di essere eleganti, ma che non lo sono affatto. L’eleganza infatti è stile. Che è una cosa molto più complicata. Soprattutto in fatto di Sangiovese. Ebbene i cru Gran Selezione Casi e Poggiarso, come lo splendido Camboi, Malvasia Nera in purezza, sono vini nei quali termini quali eleganza e stile vanno a braccetto. Sono sostanza e non superficialità.