Il Barolo dimezzato, o quasi. Da Barone rampante del mondo vitivinicolo, pronto a sfidare persino la Francia, il Barolo oggi sembra soffrire una crisi di identità. Come il Visconte di Italo Calvino. Da un lato, infatti, è forte di due annate consecutive formidabili, la 2015 e la 2016, dall’altro la maggior parte dei produttori durante un’assemblea, che più passa il tempo più appare surreale, ha votato la scorsa estate contro la riserva vendemmiale. E questo accade proprio in un periodo di forte crisi. Una crisi che tocca quasi tutte quante le denominazioni italiane, eppure l’ammiraglia della viticoltura nostrana è accusata da più parti di aver perduto la rotta. Secondo i dati Ismea nella campagna 2019-2020, c’è stato un calo dei prezzi del -3% per i vini Igt e del -5% per i vini Dop. Ma con andamenti diversi tra singole denominazioni. Vediamo i primi sette mesi del 2020: il Barolo, sullo sfuso, perde il -14,2%, passa cioè da 740 a 635 euro ad ettolitro, con una dinamica simile per il Barbaresco, a -11,9%, per un valore medio di 493 euro ad ettolitro.
Mentre il Brunello di Montalcino, con un calo del -9,8%, resta su quotazioni di tutto rispetto, passando dai 1.085 euro ad ettolitro del 2019 ai 978 del 2020. Stabile l’Amarone della Valpolicella, sui 775 euro a ettolitro. (vedi WineNews) Quindi smartphone alla mano in molti hanno denunciato, con tanto di fotografie, la vendita del Barolo DOCG a prezzi stracciati sugli scaffali dei supermercati. Il sottocosto ha raggiunto al ribasso persino i 7,99, 8,99 euro sulle due ultime strepitose annate, ricordate qui sopra.
Il primo a essere chiamato in causa non poteva che essere Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani (si veda la strigliata contenuta nella lettera di Angelo Gaja). In seconda battuta, tirato un po’ per la camicia, è stato tirato in causa anche Piero Quadrumolo, numero uno di Terre da Vino. Ne è dunque nato un acceso botta e risposta tra testate giornalistiche (vedi i post di Franco Ziliani e WineMag). WineMag pur schierandosi dalla parte della dirigenza del Consorzio, ammette onestamente che : “Mentre parte della critica enogastronomica italiana pare concentrata, nelle ultime settimane, all’annientamento sistematico del Consorzio di Tutela di Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani, nonché dei suoi primi attori Ascheri e Ferrero, al 30 novembre il Barolo segna un +9% nella produzione e l’aggregato delle Denominazioni un +0,5% (fonte Consorzio). Più bottiglie da vendere, dunque. A che “prezzo”? Lo dirà il mercato”. Appunto, il nocciolo della questione è proprio l’aumento della produzione. O meglio la sua gestione. Perché aumentare la produzione senza accompagnarla a una tenuta dei prezzi sul mercato può condurre a qualche guaio. Il primo l’immagine stessa del prodotto, la cui identità sembra appunto dimezzata: da un lato la rinuncia alle riserve di vendemmia, i prezzi dello sfuso e delle bottiglie a picco sul canale GDO, dall’altro i vigneti più cari d’Italia (fino a 2,5 milioni di euro a ettaro) e la certezza che tra le mani i vignaioli della DOCG possono vantare un vitigno pregiatissimo. Il secondo guaio è anch’esso in corso: l’emergenza covid, che ha spianato il canale Horeca.
Bisogna allora ripartire da alcuni dati statistici importanti e ricominciare a ragionare su questi, si avverte da più parti: nell’ultimo quarto di secolo gli ettari a Barolo sono cresciuti dai 1178 del 1993 ai 1573 del 2002, poi ai 2055 del 2013 ai 2166 del 2017. Sono raddoppiati; le bottiglie dai 6.480.600 del 1993, sono diventate 8.711.200 nel 2003, 13.902,404 nel 2013 e 14.194.212 nel 2017.
Il Presidente Ascheri sulla querelle continua a tenere un profilo basso, mentre preferisce puntare su un rilancio mediatico della denominazione con iniziative che, salvo l’andamento della pandemia, potrebbero restituire un po’ di smalto al Barolo. Si fa forte di riconoscimenti quali “Barolo Città Italiana del Vino 2021 e dell’avvio di un progetto promosso dalla Fondazione CRC coinvolge la Scuola Enologica di Alba, il Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e il Centro Enosis Meraviglia di Donato Lanati (vedi alla sezione news del Consorzio). Eppure in molti continuano a chiedersi: perché da anni il Consorzio non partecipa al Vinitaly?
Ma l’ultima parola per ora la lasciamo a Roberta Ceretto, riportando quello che ha detto al Corriere della sera: “La famiglie storiche del Barolo hanno lavorato mezzo secolo per far diventare il Barolo il re dei vini. Abbiamo lavorato sulla qualità, nel packaging, nel sughero. Se ci sono cantine che vendono etichette a 9 euro sviliamo tutta la filiera del vino. E poi per cosa? Per guadagnare pochi centesimi? Una bottiglia di Barolo non può costare meno di 25-30 euro”.
Fonte foto in alto: Vino al Vino.