In Svizzera si stappa sempre meno. Un trend in calo che si consolida ormai da diversi anni e che desta non poca preoccupazione nel settore vitivinicolo. «Con i miei colleghi ci siamo confrontati più volte su questo tema – afferma Davide Cadenazzi, presidente della Federazione dei viticoltori della Svizzera Italiana – e benché sia difficile capire appieno le ragioni, si riflette in un maggiore interesse verso altre bevande alcoliche come birra e superalcolici. Personalmente sono allarmato: se il consumo di vino diminuisce, cala di conseguenza la domanda di uva. Per noi è fondamentale poter garantire una viticoltura sana e di qualità, e non vorremmo trovarci in futuro a dover rinunciare a un prodotto così radicato nel nostro territorio. Sarebbe davvero un peccato».
Cambiano le abitudini – Michele Conceprio, direttore di Vinattieri Ticino SA, concorda: «Effettivamente il vino viene consumato meno, e questo calo è generalizzato». Ma quali sono le cause di questa flessione? «È complesso individuarne una sola. Tuttavia, ci sono fattori che incidono in modo significativo, tra cui l’invecchiamento della popolazione e le abitudini delle nuove generazioni, che si avvicinano al vino sempre più tardi, spesso superati i 40 anni». Negli ultimi anni, inoltre, si è assistito a un «cambiamento radicale nel modo di alimentarsi. Oggi abbiamo la possibilità di sperimentare cucine diverse, rendendo l’abbinamento con il vino talvolta più complesso». Non va sottovalutata nemmeno la crescente stigmatizzazione nei confronti dell’alcol, descritto da molti esperti della salute come cancerogeno: «Due bicchieri di rosso vengono indicati come nocivi, spingendo i consumatori verso bevande che spesso non sono altrettanto salutari. È cambiato anche lo stile di vita delle persone».
Migliora la qualità – La diminuzione dei consumi, tuttavia, non è vista come un fenomeno del tutto negativo: «Fortunatamente, assistiamo a un aumento della qualità sia nella scelta che nella produzione dei vini. Oggi i prodotti di bassa e mediocre qualità sono quasi del tutto scomparsi dal mercato, e si tende quindi a bere meglio». Un andamento confermato dalle preferenze d’acquisto: «Dal nostro punto di vista, non riscontriamo particolari problemi nella fascia medio-alta, ovvero per i vini con un costo tra i 25 e i 30 franchi. La difficoltà maggiore si registra sui cosiddetti vini da pasto». In altre parole, mentre un tempo il vino veniva consumato quotidianamente, «ora rappresenta più un rituale del sabato, della domenica, delle cene e dei momenti di convivialità. Durante la settimana, il suo consumo si è ridotto drasticamente».
Un mercato piccolo ma ambito – Per quanto riguarda i prodotti svizzeri, «si tratta di una realtà particolare». Come spiega Conceprio, «il consumatore svizzero ha un potere d’acquisto elevato, e per questo la pressione dei produttori esteri è fortissima: qualsiasi viticoltore proveniente da ogni angolo del mondo vorrebbe poter venire a vendere qui. È chiaro che, quando il consumatore desidera acquistare vino, si trova di fronte a una vasta scelta. Una grande varietà che a volte va a discapito del vino autoctono, e quindi svizzero. Ma questa è la logica del cosiddetto libero mercato».
Nonostante ciò, al vino confederato va riconosciuto un enorme progresso negli ultimi 15 anni. «La professionalità è aumentata, il clima è cambiato, e la viticoltura elvetica si è espansa fino ai cantoni più settentrionali, dove un tempo era impensabile produrlo. Basti pensare che quarant’anni fa, all’inizio della mia carriera, a Zurigo non era facile trovare un vino di buona beva. Oggi, invece, le carte dei ristoranti offrono prodotti autoctoni, pregiati e, soprattutto, molto apprezzati».