Cosa avrà mai versato nei suoi calici, durante la sua audace traversata delle Alpi nel lontano 218 a.C., il leggendario condottiero cartaginese Annibale? Un interrogativo affascinante che ha acceso la fantasia di due amici, entrambi con il cuore ancorato alla terra e il palato educato ai piaceri di Bacco. Mattia Longoni, enologo trentunenne con radici familiari nella Val di Susa, ed Edoardo Marzorati, ingegnere con una passione sorprendente per il mondo del vino, hanno intrapreso un’avventura che va oltre la semplice produzione vinicola: un viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca delle varietà autoctone che un tempo prosperavano sulle pendici montane piemontesi, le stesse che forse dissetarono le truppe e persino gli imponenti elefanti di Annibale.
La loro storia, intrisa di passione e un pizzico di audacia, è stata recentemente raccontata dalle prestigiose pagine de ‘La Revue du vin de France’, consacrando un progetto che affonda le radici nella storia per germogliare nel futuro. Cresciuti tra le colline lariane, Mattia ed Edoardo hanno deciso di scommettere sul potenziale enologico di Mompantero, una località nei pressi di Susa dove un ettaro e mezzo di vigneti giaceva silente da oltre quarant’anni. Un terreno dimenticato, ma non privo di fascino, che i due amici hanno deciso di risvegliare con un obiettivo ambizioso: ridare vita a quelle varietà di uve che il tempo e le mode avevano relegato nell’oblio.
La primavera scorsa ha segnato un momento cruciale per il loro sogno. Con la tenacia di chi crede fermamente nel proprio progetto, Mattia ed Edoardo hanno messo a dimora due antiche varietà autoctone – una a bacca rossa e l’altra a bacca bianca, i cui nomi evocano un passato ricco di storia e tradizioni locali – affiancate da alcune barbatelle di Nebbiolo, un vitigno nobile che ben si adatta al terroir montano. Un elemento di particolare interesse è rappresentato dai porta innesti, uno dei quali frutto di una collaborazione con l’Università di Milano, a testimonianza di un approccio che coniuga la sapienza antica con la ricerca scientifica più avanzata.
Il nome scelto per la loro futura produzione vinicola, ‘Barone di Clivio’, aggiunge un ulteriore strato di fascino a questa impresa. Un omaggio alla storia locale, un richiamo a un passato nobiliare che si intreccia con la cultura contadina e la vocazione vitivinicola della Val di Susa.
Naturalmente, la pazienza è una virtù fondamentale nel mondo del vino. I primi frutti di questo appassionante lavoro, le prime bottiglie che porteranno l’etichetta ‘Barone di Clivio’, sono attese tra circa quattro anni. Un periodo di attesa che Mattia ed Edoardo vivranno con la consapevolezza di essere parte di qualcosa di più grande: il recupero di un patrimonio enologico dimenticato, un ponte ideale tra il passato glorioso di queste montagne e un futuro che promette di riscoprire sapori autentici e identitari.
Mentre la domanda sul sapore del vino bevuto da Annibale rimane avvolta nel mistero della storia, l’impresa di Mattia Longoni ed Edoardo Marzorati ci regala una prospettiva affascinante: la possibilità di immaginare, attraverso la riscoperta di antiche varietà, un sorso di quel passato, un legame tangibile con la storia di una terra che ha visto transitare eserciti e culture, lasciando dietro di sé un’eredità ricca di fascino e di potenzialità ancora inesplorate. E chissà, forse tra qualche anno, sorseggiando un calice di ‘Barone di Clivio’, potremo chiudere gli occhi e sognare di brindare, idealmente, con il grande condottiero cartaginese, sulle vette maestose delle Alpi piemontesi.