Negli ultimi mesi, il mondo del vino sta vivendo una fase delicata, segnata da un calo sensibile dei consumi fuori casa. Il dibattito si è acceso soprattutto attorno a due fattori principali: l’impatto del cosiddetto “decreto Salvini”, che ha inasprito le sanzioni per chi guida in stato di ebbrezza, e i crescenti ricarichi applicati dai ristoratori sul vino servito ai tavoli.
Se da un lato la prudenza alla guida è sacrosanta, dall’altro molti osservatori puntano il dito contro una pratica commerciale che rischia di diventare controproducente: il vino, al ristorante, costa troppo. E i consumatori se ne stanno accorgendo.
8 euro al calice per una bottiglia da 10: un paradosso quotidiano.
Una bottiglia acquistata dal ristoratore a 10 euro, può essere servita al bicchiere a 7-8 euro per porzione. Considerando una media di 7 calici per bottiglia, il valore totale si aggira intorno ai 56 euro. Un ricarico del 460% sul prezzo d’acquisto. Un conto salato, che molti clienti finalmente non sono più disposti ad accettare.
“La gente non è stupida”, commenta un sommelier romano. “Ormai tutti confrontano i prezzi online o in enoteca. Se vedono che una bottiglia pagata 10 euro viene proposta a cinque volte tanto, preferiscono non ordinarla affatto. O tornano a bere a casa.”
Ristoranti in difficoltà, ma anche i clienti lo sono.
È evidente che i costi di gestione di un locale — personale, affitto, servizio — giustifichino un certo margine. Ma il margine è diventato, in molti casi, una barriera. A pagarne le conseguenze non è solo il cliente, ma l’intero settore. Secondo l’Osservatorio del Vino, nel 2024 i consumi sono scesi del 7% rispetto all’anno precedente. Un segnale chiaro.
“Una volta ogni coppia ordinava almeno una bottiglia”, racconta il titolare di un ristorante astigiano. “Ora ne serviamo una ogni due o tre tavoli. Il vino è passato da piacere condiviso a lusso opzionale.”
A complicare il quadro c’è anche un altro elemento: oggi molti vini sono pensati per la pronta beva. Non hanno bisogno di lunghi affinamenti in cantina, e questo dovrebbe abbattere ulteriormente i costi, ma nella filiera della ristorazione, il prezzo continua a salire. Eppure viviamo un periodo in cui la cultura del vino è cresciuta e il pubblico è più competente, sarebbe il momento di rendere il vino più accessibile, non il contrario.
Alcuni ristoratori stanno già cercando soluzioni alternative: proposte di “vino al calice a prezzo trasparente”, partnership dirette con cantine locali, carte dei vini snellite e più orientate alla qualità che alla quantità.
C’è anche chi propone degustazioni con formule “easy-drinking” per avvicinare i giovani consumatori, meno propensi a spendere 30-40 euro per una bottiglia a cena.
Concludendo, la crisi attuale non è figlia di un solo colpevole. Le norme stradali più severe hanno certamente inciso, ma il vero nodo resta l’equilibrio tra prezzo e valore percepito. Se il vino diventa un lusso da evitare, anche i migliori terroir e le etichette più prestigiose rischiano di restare invendute.
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